Intervista di Paolo Badini, 2009

Badini:
che consigli puoi dare oggi ad un giovane artista?

Pinto:  
anzitutto un giovane artista deve domandare a se stesso con grande sincerità: perché voglio fare l'artista? Cos'è l'arte? Qual è l'intenzione che anima il mio lavoro ?
Questa interrogazione mi si è istintivamente, ossessivamente imposta in tutti i momenti in cui mi sono trovato davanti alla necessità di scegliere che forma dare alla mia esistenza: ho scelto di fare il pittore perché con la pratica della pittura confusamente intuivo di poter comprendere il vero significato della Vita.
Per me l'arte della pittura è un lavoro di conoscenza e autoconsapevolezza.
Questa scelta mi ha anzitutto obbligato a non dare credito a pratiche artistiche già codificate nei confronti delle quali ho sempre avvertito un inalienabile, insofferente avversione perché istintivamente percepite come mortificanti le naturali disposizioni ad un apprendimento consonante con i talenti individuali.
Se si sceglie di divenire consapevoli del proprio destino operando con l'arte della pittura per autocomprendersi, qualsiasi pratica di lavoro prestabilita che ci viene proposta dall'esterno non può essere accettata acriticamente: allora ci troviamo di fronte ad un paradosso, dover affrontare una condizione esistenziale inevitabilmente conflittuale.

Badini:  
come si può imparare dal lavoro? 

Pinto:   
anzitutto cercando di esercitare onestamente il pensiero critico apprendendolo da chi lo ha elaborato; respingendo tutte le riduzioni semplicistiche, per l’appunto acritiche. L'autentico pensiero critico se praticato con grande rigore mentale provoca inevitabilmente una salutare crisi, ci rivela una condizione esistenziale animata da violente contraddizioni; il pensiero critico ha la forza di farci percepire chiaramente i nostri limiti, i limiti delle istituzioni alle quali dovremmo consegnare il governo della nostra Vita.
Ma ci permette anche di intuire quali sono gli atteggiamenti mentali, emozionali, volitivi con i quali possiamo affrontare, sperando, attivamente sperando, i limiti interni ed esterni.
Non disperando delle difficoltà possiamo cominciare ad intravedere, ad intuire come superarle con una atto autenticamente creatore, ovvero drammaticamente autofondante.
Ma riuscire ad esprimere un atto creatore occorre abbandonare la mentalità critica.
Il pensiero critico non ci dà gli strumenti mentali per superare le difficoltà che comunque permette di conoscere lucidamente: la lucidita del pensiero critico può costituirsi come una prigione, una disperante trappola.

Di fronte ai problemi posti dal un lucido pensiero critico si tratta di mettere in atto una dimensione di se stessi che antropologicamente parlando è ontologicamente del tutto altra dal pensiero critico.
Il pensiero critico ci da la consapevolezza dei condizionamenti che limitano, in senso propriamente politico, la forma di vita imposta da una economia dell'esistenza storicamente determinata ma non ha la forza di creare in noi stessi una disposizione d'animo e di spirito, una intelligenza liberata dalle limitate, mortificanti forme d'esistenza astrattamente imposte dalle istituzioni culturali: l'atto autenticamente Creatore è auto fondante, lo devi creare in te da te stesso.
L'atto creativo richiede uno sforzo inevitabilmente, sanamente doloroso; il nostro piccolo, presuntuoso io comune - anche se culturalmente molto sofisticato - non lo sopporta ma questo doloroso, salutare sforzo dona la virtù di una reale trasfigurazione ontologica di tutte le forze della nostra esistenza, è fondante, auto fondante: assolutamente altro inimmaginabile, occorre necessariamente passare attraverso un grave, drammatico ma salutare dolore.

Badini:  
il fatto di arrivare ad una crisi genera un evento drammatico, personale, un dramma?

Pinto:
 
un dramma!
Inevitabilmente.
occorre rinunciare a qualsiasi forma, ad ogni mera enfatica reazione nei confronti delle abituali formule della cultura istituzionalizzata per elaborare un reale, vitale evento creatore, epifanico, si deve passare per una trasformazione drammatica della nostra comune, stereotipata coscienza.

Badini:  
significa perdere le certezze anche delle conoscenze critiche? 

Pinto:
la coscienza critica, se rigorosamente esercitata, conduce la riflessione al  punto che riconosci consapevolmente, inequivocabilmente, che non ci possono essere certezze all'interno dell'attuale condizione culturale; chi non pensa cosi è - volente o nolente - intellettualmente disonesto, un mistificatore o un superstizioso al limite anche delinquente volente o nolente.
L'esperienza dell'arte propriamente "moderna"  non dico contemporanea che vuol dire tutto e niente, il contemporaneo nel senso comune è conformista.il Moderno? come possiamo definirlo antropologicamente e ontologicamente? Dove, quando nasce il Moderno? Nasce dal momento in cui si abbandona ogni pensiero metafisico, ogni concezione astrattamente prestabilita della verità, ogni progetto operativo intenzionato ad un fine precostituito, anzitutto al fine di soddisfare il desiderio di conoscere la verità; per me il Moderno contemporaneo, strettamente parlando, nasce con Giotto, Dante, S. Francesco,... San Francesco non era un monaco, non voleva fondare un ordine monastico, S. Francesco non voleva dettare un regola di vita, per lui la regola o è interiore o è un carcere! In Giotto non compare più il fondo color Oro!  

Per il moderno il senso nasce, si manifesta attraversando l'esperienza che si fonda sul mondo percepito con i sensi corporei, questo ovviamente non vuol dire meramente fisiologici. Ma l'esperienza sensibile può regredire anch’essa a stereotipati, astratti comportamenti producendo una condizione esistenziale scorporizzante e mentalmente delirante. Nella economia imposta dal sistema nichilistico che oggi governa la nostra esistenza, ciascuno deve iniziare a disoccultare il proprio delirio.

Le immagini della vita che ci propone l'economia contemporanea sono subreali, regressive; presentano un immaginario delirante caleidoscopico, di fatto mistificano un condizione esistenziale dominata da uno stato d'animo disperato.
La realtà delle apparenze sensibili naturali, se le osservi senza protesi mentali, più la vedi con intensità e più fai l'esperienza dell'angoscia e del terrore perchè l'io non riesce ha contenere la incommensurabile complessità delle apparenze naturali, albero, cielo, terra, la nascita, la morte: la modernità è la ricerca di uno stato di vita originario che è possibile esperimentare quì, ora, in questo momento tra me e te, al presente: proiettarlo nel futuro o nel passato è delirante, disperante.

Le grandi personalità che sono state animate dall'esigenza di essere moderni, al di la di tutti gli esperimenti falliti, diciamo Duchamp, Picasso, Giacometti, ... Rilke, ... sono i prototipi di una grave, tragica esperienza esistenziale perchè hanno compreso cosa significa essere Moderni e anche se hanno fallito hanno autenticamente cercato, ... cercato, cercato: il loro "fallimento" è comunque, paradossalmente edificante.
La loro opera è una conoscenza - non una ideologia - del negativo che di per sè non è il male.
Perché Picasso ne ha passate tante?! Ogni pratica pittorica che inventava per liberarsi dal ricordo del passato, ogni invenzione estetica la riconosceva essere una trappola, una prigione - infine ha praticato l'ironia per evadere una angoscia mortale. Inventata, per dimenticare ma ha capito che per dimenticare, essere libero, doveva  fare l'esperienza dell'inimmaginabile, impensabile; questo miracolo era riuscito a Cézanne come Picasso aveva riconosciuto.
Picasso, non solo lui, ovviamente, cercava l'assoluto.
Tutti coloro che nella contemporaneità cercavano l'essere del moderno hanno riconosciuto in Cezanne l'autentico testimone.  
Cézanne non ha stile: tu non puoi dire che l'albero ha uno stile, l'albero è un essere vivente ogni sua riduzione ad immagine ne tradisce, mortifica, l'esistenza.
L'Io che riduce ad immagine le apparenze si illude di possederle ma in realtà regredisce la sua propria esistenza ad un informe vitalismo, ad un massa di impulsi angosciati.
La pittura di Cézanne non ha uno stile, non ci sono procedure geometriche: il quadro di Cézanne è un essere vivente, manifesta  l'esistenza di un Io che cerca la verità della sua propria incommensurabile Vita.
E' il suo Io che cerca il fondamento di se stesso, c'è la presenza dell'incommensurabile nell'opera di Cézanne. Appare la presenza di una Vita originaria, Vita che è oltre ogni nascita e morte.
Cézanne Vede: semplicemente Vede, ma per Vedere veramente esperimenta il buio, si fa cieco di ogni immaginazione, la sua vera forza è permanere in quella cecità: non pensa, percepisce la presenza della sua vita in consonanza a quella del Prossimo: Albero, Aria, ... Pietra, ... Cielo, ... Uomo. Le presenze come quella di Cézanne sono rare in tutta la storia dell'arte moderna.

Badini:
non sono tanti.

Pinto:
ne ho nominate alcune, ci sono per quanto riguarda la pittura anche Masaccio, Michelangelo, Rembrandt, Velázquez. Nel lavoro di Cézanne si vede proprio la sana, dolorosa, liberante, non angosciata fatica che fa per togliersi di mezzo delle immagini precostituite c'è un modo di sentire, di pensare, di volere, altro dalla letale mistificazione estetizzante.

Badini:
capisco, capisco perfettamente.

Pinto:  
si, ... si può dire in tanti modi ...

Badini :  
volevo chiederti in che rapporto ti poni con l'arte definita come "informale" italiana.

Pinto:
l'informale: negli anni '50 (io sono nato nel '35) quando non era ancora ben definito quale lavoro potessi fare, anzi istintivamente ero insofferente e fuggivo da ogni programmato progetto d'esistenza, vidi le  grandi retrospettive di Picasso, di Mondrian e poi, sempre alla Galleria Nazionale d'Arte Moderna a Roma quella di Pollok.
Ebbi la forte, sebbene confusa, impressione che con Pollok si era giunti alle estreme conseguenze della ricerca dell'arte moderna: non era possibile procedere oltre nel tentativo di trovare un fare artistico che permettesse di riflettere sull'attualità del vissuto per avere una autentica conoscenza del vero senso della Vita: che fare?
L'Informale, che non vuol dire privo di forma, è una categoria estetica che ha provocato grosse e grossolani equivoci; pochissimi sono gli autentici informali e Pollok ne è l'espressione più chiara.
In genere i cosiddetti informali fanno del lirismo psichico una forma di naturalismo, Pollok è tutt'altro.
Pollok giunge all'estrema afasia psichica, soffoca, esperimenta l'estremo limite vitale, l'angoscia in sé stessa senza alcuna mediazione oggettuale: cercava una forma d'arte come conoscenza del mondo non come interpretazione.
Negli anni ‘50 Palma Bucarelli direttrice della Galleria Nazionale di Arte Moderna di Roma organizzava delle lezioni  domenicali sull'arte moderna che frequentavo assiduamente. A quel tempo in Italia c'era da una parte l'ideologia del neorealismo e dall'altra i vari astrattismi; c'erano i Guttuso, i Turcato, i D'orazio, Novelli, gli astrattisti. Per me non si trattava di scegliere ne per l'una ne per l'altra parte; l'esperienza forte, dell'arte moderna era animata dall'esigenza originaria di conoscere il vero senso dell'essere dell'esistenza in Sé, ambiva a conoscere l'uomo in sé stesso. Le forti individualità della ricerca Moderna cercavano un arte, un lavoro in pittura che pur rimanendo nell'esistenza storica permettesse di osservarla da un culmine sovrastorico, cercavano non un altro stile artistico,immagini artefatte inevitabilmente mistificatrici,stranianti, ma fondatrice di vita autentica nel senso che permettesse all'Io di conoscere se stesso, il suo originario fondamento altro dall'io economicamente determinato, progettato.
L'Io desidera esperimentare il mondo in sé e fuori di sé, desidera osservarlo e comprenderlo contemporaneamente da un vertice altro, fuori dal piccolo sè comune, anche se culturalmente molto sofisticato; l'Io aspira a comprendere la natura delle relazioni che governano i rapporti tra il piccolo io contingente, ansioso di dominare i fenomeni naturali, e la natura della volontà che anima la sua intenzione.
l'Io che vuole comprendere il mondo ma se per realizzare la sua aspirazione inventa un astratta concezione del mondo, l'arte, il lavoro non potrà che produrre operazioni inevitabilmente mistificanti, tanto prepotenti quanto impotenti, intimamente contraddette, alienanti arte-fatti modi di pensare, volere e sentire coagulati in una certa determinata condizione psichica che fonda e rifonda indefinitamente conflitti, discordia, separatezza, omicidi e suicidi: un'esistenza che gira in folle.
L'esigenza ontologica è uscire dal labirinto dei fenomeni psichici, se riesci a togliere di mezzo la psicologia e avere consapevolezza di ciò che la provoca per entrare in un rapporto autenticamente conoscitivo nei confronti di te stesso e delle cose, questo luogo altro dall'io, storicamente determinato, è quanto cercavano gli uomini che avevano l'innato sentimento del vero senso del lavoro, grandi o piccoli che fossero.

Badini:
è quello il grande dramma della modernità.

Pinto:
su queste gravi questioni sono sempre stato spontaneamente, intuitivamente spronato a riflettere come potevo, anche senza rendermene den conto poggiandomi quà e là; i risultati dei mie tentativi sono stati raccolti in un libro curato da Omar Calabrese: Per uscire dalla Valle critica di me stesso.
Certo l'esperienza non è possibile farla per delega; ogni individuo deve crearla da sé per vie assolutamente inimmaginabili.
Per me la modernità contemporanea nasce proprio con quelle tre persone, quelle grandi figure sopra nominate.
Ciascuno deve riconoscere in sé stesso la via.  
Si deve anzitutto essere sempre consapevoli della propria infinita ignoranza: non tradirla mai.
Torniamo alla Roma degli anni ‘50, a Palma Bucarelli, Guttuso, Argan, ... Ragghianti, Nello Ponente, De Grata; alle mostre negli anni '50 di Picasso, ... a quella di Pollock: questa, come dissi, provocò in me una oscura intuizione: la pittura aveva celebrato il suo funerale, era finita! L'arte non poteva incominciare dall'arte, bisognava partire da un'altra cosa, da un'esperienza di vita, di vita affatto governata da un economia codificata.  
A Roma lavoravo in pubblicità, frequentavo i corsi della scuola libera del nudo all'accademia di Francia, avevo incontrato Guttuso, ... e feci una nuova conoscenza che mutò radicalmente il mio immaginario.  
Questo nuovo incontro suscitò un fantasia che provocò l'abbandono di Roma, con nuovi compagni si andò a vivere in un podere contadino abbandonato tra i monti Aretini.
Qui esperimentai una imprevedibile condizione quotidiana che mi costrinse a scoprire in me delle forze che non conoscevo, questo avvenne spontaneamente quanto confusamente: l'immaginario che sollecitò l'abbandono di Roma si rivelò subito assolutamente onirico, incapace a contenere quanto quotidianamente si esperimentava di altro dal modo di vita precedente.
Mi ritrovai a esperimentare una situazione esistenziale al limite, se non fuori, dalla abituale, cittadina economia di vita organizzata, e sperimentavo una stato d'animo scosso da violenti turbamenti ed angosce anche prive di riferimenti oggettivi; in una condizione psichica facilmente vulnerabile si è spinti irrazionalmente a cercare una riabilitazione della propria coscienza, destinati inevitabilmente ad una sequela di prove fallimentari che umiliano l'orgoglio sempre alla ricerca di una autonomia che sarà sempre illusa e  disillusa, con il rischio di risolvere regressivamente la violenta crisi ma questo, malgrado me, non accadde: per destino?

Badini:
mi hai già raccontato che poi avvenivano dei fatti inspiegabili in quella casa in cui abitavi.

Pinto:
si certo, fenomeni psichici inconsueti: uno decide di partire per un luogo sconosciuto si crede equipaggiato, ... poi, improvvisamente si accorge di essere in alto mare di fronte a sé si apre un orizzonte senza punti di riferimento a terra, è in barca e non  ha più la bussola, in tale condizione può farsi strada in sé una forza reale che sebbene oscura in certi momenti ti sostiene, intuitivamente.
Allora incominciai a dar fiducia a questa forza, senti che non sei più alla deriva, non pensi più di tornare indietro, è una forza nella quale speri senza progetto perché cominci ad avere il sentimento che qualsiasi cosa incontri potrà sostenerti.

Badini:
hai avuto sentore che l'arte informale italiana avesse un significato politico?

Pinto:
si, ovviamente ogni espressione umana ha un significato politico ma qual è il senso di questo significato?
L'Informale si è manifestato dopo la fine della guerra.
Ti dicevo che in Italia negli anni '50 i problemi estetici erano da una parte quelli degli astrattisti sostenuti criticamente da Argan, la Bucarelli ma le loro posizioni erano il recupero di fenomeni artistici esperimentati e già scontati dall'avanguardia cosiddetta storica, dall'altra parte c'era il neorealismo: due illusioni.
Per me non c'era da scegliere, intuivo che erano due "menzogne", due manifestazioni di una medesima Crisi epocale: gli spasimi della fine di un pensare comunque ideologico, la cosiddetta fine dell'ideologie: io sentivo, oscuramente, intuitivamente, l'esigenza di liberami, per così dire, da ogni forma di psicologismo ideologizzato e pativo  una sorta di insofferenza esistenziale: ma da dove cominciare, che fare?! L'Informale rispetto agli all'astrattismo storico altro non era che una sua inevitabile fatale conclusione e il neorealismo di sinistra un altra bugia.
Ma cosa si intende per "informale" o espressionismo astratto del secondo dopoguerra?  
Informale non vuole dire che non ha forma: uno pittore sceglie empaticamente certe procedure espressive, certe retoriche del fare:scegliere, ad esempio, di dipingere nature-morte, pere, mele, tavoli, panneggi, ecc.: di nature morte ne sono state dipinte tante ma  cos'è che distingue una natura morta da un'altra? Un paesaggio da un altro? Una pera da un altra?
Non è il tema che da valore ma il modo in cui è dipinto. Allora si tratta di vedere come è dipinto, che significa quello specifico modo di dipingere, che sentimenti, pensieri, volizioni, intuizioni, tensioni psichiche e mentali si manifestano nelle procedure di questo e quel fare pittorico indipendentemente dai temi scelti. I processi operativi del fare pittorico sono sempre necessariamente "astrazioni": ma come valutare il senso intrinseco, il valore antropologico di questo o quel procedimento pittorico?
Si tratta intendere il valore dei sentimenti, delle volizioni, dei desideri, dei pensieri, dell'immaginario che dipingendo si manifesta, si tratta di empatia di qualità empatica: di Eros.
Eros!! Capisci?! L'Informale, e prendo Pollock, un De Kooning anche Giacometti come esempi emblematici di quella situazione storica: quali qualità empatiche, quali in-tenzioni esprimono nel loro processo pittorico?   
Esprimono una grave, drammatica, anche tragica condizione esistenziale, una condizione dell'esistenza in stato delirante, una abissale crisi antropologica, anzi ontologica.
Giacometti a mia convinzione è un caso unico, manifesta una grande intelligenza pittorica una profonda consapevolezza dello stato di crisi, aveva anche una consapevolezza critica in senso fortemente politico non ideologico. Aveva capito l'errore antropologico professato dal surrealismo, la mistificazione, la superstizione feticistica pratica nelle procedure surrealistiche; con tutto l'interesse che il surrealismo ha storicamente avuto dal punto di vista sperimentale rappresenta una fase della crisi epocale: l'atto surrealistico è sintomatico, inventivo, affatto creatore.
Ora con tutto l'interesse che il surrealismo ha avuto dal punto vista sperimentale è antropologicamente fallito, il dadaismo anche, tutti gli esperimenti dell'avanguardia storica sono falliti rispetto alle intenzioni che li avevano provocati.
Bisogna capire il perché di questi fallimenti.  
Erano tutti tentativi non per dare un altra cornice all'esistenza ma per togliere ogni cornice e comprendere l'Origine della Vita, del mistero del bene-male, della nascita e della morte.
L'esigenza originaria che anima ogni vera, autentica ricerca artistica è quella di cercare e trovare il Senso del Mondo, delle forze che lo pongono in essere non di interpretarle.
Si tratta di conoscere la Natura del Mondo: vedere le forze che danno vita all'albero, alla pietra, all'odio, l'amicizia, l'inimicizia primo Novecento e della  fine dell'Ottocento, Allora noi parliamo dopo di questi, ma il passaggio vero, come è si passati dalla rappresentazione figurativa alla possibilità di dipingere quel che si voleva?
Nessun artista ha mai dipinto quel che genericamente voleva, tutt'altro! Mondrian, ad esempio, dipinge per comprende la vera nature della sua volontà, era intenzionato a cercare un processo pittorico che gli  restituisse la vera visione dell'essere delle cose, cercava un'arte generatrice di Conoscenza.
Era animato ad una esigenza che si può dire propriamente "mistica", aspirava ad una intelligenza capace di contemplare attivamente il vivente Mistero del Mondo; desiderava essere consapevole del mistero della Vita e della Morte di non essere più soggiogato dalla ragione dialettica-dualistica; voleva un arte affatto ideologica, meramente estetica ma capace di dargli la Visione immediata delle forze originarie, irriducibili, generatrici del mondo delle Apparenze.
Ma per giungere a questo stato di Intelligenza Creatrice, archetipica, devi passere anzitutto attraverso un silenzio mentale assoluto! Devi estinguere ogni immagine mentale ed ogni psicologismo conscio ma sopratutto inconscio, che vuol dire pensare il Niente ovvero esperimentare la morte della piccola pretenziosa, delirante, coscienza.

Badini:  
oggi viviamo in una situazione paradossale?

Pinto:
paradossale nel senso che non si è capaci di sopportare e trascendere i conflitti che angosciano la nostra vita emozionale, volitiva, pensante.  

Badini:
paradossale, come sempre nella modernità, cioè la modernità paradossale, nel senso che si riconosce come paradossale.
L'arte che rappresenti tu sembra quasi un sorta di stratagemma con cui sia possibile non perdere il filo della ragione, il senso del discorso.

Pinto:
questo è solo un aspetto già evidente nelle mie prime prove: se leggi con attenzione tutti i testi critici contenuti nel catalogo della mia mostra antologica alla Fondazione Mazzota ne ricavi che fin dall'inizio intuitivamente, istintivamente, sempre più consapevolmente ho cercato di praticare un arte affatto ideologica in forme diverse Ragghianti, Argan, ... Bellasi, Marramao, etc. lo testimoniano.
Massimo Cacciari quando vide le mie opere lo ha compreso immediatamente: il mio lavoro cerca di conoscere il Vero ma per questo bisogna Trascendere il pensiero critico, azzerare tutte le immagini consce ed inconsce, subrazionali, senza rimanere invischiati nel labirinto degli indefiniti automatismi psichici. Ma occorre iniziare con l'esercitare il pensiero critico con rigore non praticarlo in modo ideologico, raffazzonato, approssimativo.
Per giungere ad una autentica intelligenza o Visone trascendente occorre assumere anzitutto il pensiero critico non evaderlo.

Badini:
intendo la ragione nel senso della possibilità di operare, altrimenti non ci sarebbe neanche la possibilità di vivere, al limite.

Pinto:  
nel momento attuale noi abbiamo un modo di esistere che è quello ben definito, per esempio, dal concetto di uomo Massa.
E un mero sopravvivere, non Vivere. L'individuo - massa ha bisogno di alcuni trucchetti psicologici che lo estraniano dalla sua condizione di reale insignificanza, altrimenti non potrebbe sopportarla: l'individualità umana nel sistema dell'economia contemporanea non può che passivamente vegetare, non esiste realmente la Persona un Io unificato ma un io che oscilla continuamente tra paranoie e schizofrenie, l'umano è un fantasma di sé stesso e se per caso se ne accorge accadono tragedie; non ha mezzi per affrontare la crisi, mangia pillole e va dallo psicologo o dallo psicanalista che non possono non avere una funzione non diversa dalla pillola.
Si è raggiunta una situazione sociale in cui la reificazione del falso è tanto più prepotente quanto più impotente e inavvertita. Il condizionamento coatto e fortissimo quanto inavvertito, si sopravvive attraverso l'uso di protesi mentali, psichiche che non possono non ingenerare che indifferenza, stati d'animo accidiosi: quando si incontra il prossimo non si crea un rapporto dialogico e gli individui non esercitano più una parola autenticamente dialogica, relazioni intersoggettive: le passioni, le emozioni sono tradite, negate strumentalizzate dall’ irragionevole irrazionali ragioni del Mercato.
L'inizio del risveglio di una autentica possibilità di umana coniugazione con il prossino - anzitutto con il prossimo che ci è più vicino, noi stessi - deve passare per una consapevole assunzione dello stati di grave crisi in cui quotidianamente si sopravvive di giorno e di notte.
Ma assumere lo stato di crisi è doloroso, sanamente doloroso: ma come è possibile curarsi se non si percepisce che si è malati? 

Torniamo negli anni '50: al quel tempo istintivamente non sentivo di poter scegliere tra un indirizzo estetico o l'altro ed intuivo con grande inquietudine che con l'avvento dell'Informale la ricerca pittorica si era definitivamente raggomitolata, imbrogliata in se stessa, chiusa nei propri patemi emotive e mentali senza via di uscita.
L'interrogativo reale dell'avanguardia storica era stato: come fare un'arte che dimenticasse se stessa, il suo indefinito ricadere dentro la sua alienante separatezza e donasse all'uomo la capacità di Vedere le Cose come sono, coglierne la loro autentica Presenza, avere una percezione immediata del reale non una ricezione fantastica, delirante?
Alcune individualità forti avevano capito il dramma del Moderno ma poi hanno glissato, hanno praticato secondo i vari temperamenti individuali l'ironia psicologica che è un modo di fuggire i veri problemi, l'ironia in fondo è una fascinosa vigliaccheria, una copertura, un espediente per praticare uno stato d'animo pusillanime; l'ironia maschera un abissale vuoto esistenziale utile solo a gonfiare e sgonfiare il proprio piccolo io storicamente determinato.

Badini:  
nell'arte figurativa regge poco l'ironia?

Pinto:  
è un espediente, un trucco emotivo, maschera una impotenza intellettuale e una reale impotenza sentimentale! Nella pratica ironica Picasso è micidiale, la eserciterà in modo feroce.

Badini:
diventa drammatica e giocosa.

Pinto:  
è umanamente fallimentare: è un tradimento rispetto all'esigenza di fondo che ogni individuo naturalmente ha: l'esigenza della libertà e fraternità.

Badini:
nel campo della arti visive poi è completamente astorica, deve comunque poi attingere dalla letteratura, ed attinge sempre in modo sbagliato.

Pinto:  
astorica? Perché?

Badini:  
non è riconoscibile da nessuno.

Pinto:  
l'ironia dice e disdice: chi la pratica è destinato inevitabilmente ad essere travolto dall'angoscia e dal'accidia. L'ironia ferisce mortalmente le emozioni e le passioni naturali, tradisce l'originario desidero  di verità, libertà, bellezza, amicizia e amore, l'ironia è la maschera di una abissale disperazione.
La Vita non può essere tradita, la violenza innata propria delle contraddizioni che animano l'animo umano o le affronti o le mistifichi narcisisticamente ma alla fine si rimane fatalmente travolti dallo spirito nichilista, annoiati e indifferenti,oppressi, depressi, disperati.
L'oscillazione sadismo-masochistica è letale, stravolge le naturali vitali energie dell'esistenza ingenerando indefinite forme di prepotente impotenza.
Ma se si esercita lentamente, molto lentamente, pazientemente la forza che ci dona la capacità di inibire il perverso, prima ironico poi rabbioso e infine anche delinquenziale, compiacimento narcisistico – sadomasochistico in realtà accettiamo di patire il sano dolere di una cura che accecherà lo sguardo malato ma in realtà risana l'occhio e lentamente, pazientemente, inizieremo a vedere semplicemente il Mondo: si Vedrà veramente.
Si Vedrà semplicemente con il cuore meravigliato nel riconoscere oltre l'apparente insensatezza dell'esistenza la già innata bellezza delle Cose create.
Octavio Paz afferma che "Se gli occhi sono gli organi della contemplazione, il Cuore è il centro dell'amare".
Nell'Attimo in cui si estingue l'impulso della volontà faustiana e si esperimenta l'indifferenza o il distacco dell'Io dall'aderire automaticamente al flusso dall'indeterminato, accecante vitalismo psicologico e tuttavia l'attenzione non rimane incantata in uno stato di accidiosa insignificanza, ma si mantiene desta, vigile, in questo momento del tutto particolare gli arte-fatti procedimenti scompaiono e appare l'immediata, indicibile presenza dell'Altro che " insegna alla mano maldestra e precipitosa l'indugio e una maggiore delicatezza nell'afferrare [...] il genio del cuore, dal cui tocco ognuno si diparte più ricco, non graziato o stupito, non beneficiato e oppresso come da un bene estraneo, sebbene più ricco di sé più nuovo che per l'innanzi, dissigillato, alitato e spirato da un vento australe, forse più insicuro, più delicato, più fragile, più infranto, ma colmo di speranze che non hanno ancora un nome" - è Friedrich Nietzsche che parla.




Informativa

Noi e terze parti selezionate utilizziamo cookie o tecnologie simili per finalità tecniche e, con il tuo consenso, anche per altre finalità come specificato nella cookie policy.
Chiudendo questo banner con la crocetta o cliccando su "Rifiuta", verranno utilizzati solamente cookie tecnici. Se vuoi selezionare i cookie da installare, clicca su "Personalizza". Se preferisci, puoi acconsentire all'utilizzo di tutti i cookie, anche diversi da quelli tecnici, cliccando su "Accetta tutti". In qualsiasi momento potrai modificare la scelta effettuata.