Lettera a Pietro Bellasi, 2005

Monteveglio, maggio 2005


So bene come sia “difficile proporre una cosa al giudizio di un altro senza corromperla con la maniera stessa di proporgliela” e quanto il curatore di una mostra si deve far carico di una forte responsabilità etica-politica impegnando tutta la sua intelligenza critica non disgiunta, anzi sostenuta dal desiderio di comprendere la vita dell’altro, il prossimo, con autentica partecipazione umana.
Grazie anzitutto, caro Pietro, per aver provocato la mostra del mio lavoro alla Fondazione Mazzotta e di esserti preso la responsabilità e la fatica di curarne l’impianto critico necessario all’adeguata esposizione delle mie opere.

[...] Penso che l’esposizione non dovrebbe tanto preoccuparsi di mettere in scena un percorso “antologico” scandito secondo un tempo-spazio cronologico, ma cercare di rendere percettivamente evidente l'alterità del mio lavoro nei confronti delle contemporanee cronache artistiche dalle quali il destino mi ha tenuto fuori.

Nella mia ricerca non c’è stato quel significativo momento di negazione o la crisi di rottura nei confronti di un’arte e di una posizione sociale acquisite e riconosciute false, da contestare o rigettare, come invece è accaduto per tutte le esperienze delle avanguardie moderne. 
Nell’adolescenza ho cominciato a praticare la pittura fuori dalle istituzioni scolastiche, poi, nella prima gioventù, spinto dall’urgenza di trovare un mezzo per apprendere a osservare, riflettere e assumere quanto esperimentavo in una condizione esistenziale anomala, straniata da un qualsivoglia sistema economico, al limite, agitata da violente quanto contrastanti, devastanti tensioni, l’esercizio della pittura mi si è imposto non come un modo di rappresentare l’esperimentato dentro uno scenario prestabilito ma per cercare di abitare il vivente paradosso di una esistenza che non sa riconoscere cos'è né dove si trova. Da quel momento la pittura ha iniziato a essere per me il mezzo per apprendere a respirare il vero senso del mio destino.
Questo significa anzitutto resistere all’angosciante esperienza della propria impotenza di fronte all’abissale profondità del Mondo senza tradire, evadere o ipocritamente sublimare il desiderio di onnipotenza che anima ogni nostra azione perché questo desiderio è l’espressione dell’inalienabile passione umana all’assolutamente Altro, e penso sia omicida speculare arbitrariamente su questa originaria aspirazione dell’Uomo alla piena Libertà.
C’è stato un tempo nella mia prima gioventù in cui fui affascinato da alcuni emblematici protagonisti dell’arte moderna; le loro storie esaltarono la mia fantasia provocando scelte di vita decisive per il mio avvenire.
In quel tempo mi innamorai del desiderio di realizzare l’aspirazione all’assoluto.
Credo che sia stato questo intenso quanto confuso desiderio dell’Io a farmi sempre rigettare fin dalle prime prove scolastiche ogni precostituito progetto di vita, ideali immaginari, la vacuità dei riti stereotipati che governano la quotidiana economia della vita pubblica e privata, quelli della “famiglia” innanzi tutto. 
Nei lavori dei più significativi protagonisti della rivolta (non rivoluzione) dell’arte moderna i procedimenti inventati per realizzare le loro intuizioni sul vero senso dell’arte rivelarono l’abisso di luoghi tenebrosi che ogni individualità umana porta in sé occultati da false rappresentazioni della verità.
La coscienza di questi artisti rimase annichilita dall’insensatezza disvelata loro dalle medesime procedure di lavoro che stavano sperimentando per liberare l’arte da vecchie e nuove finzioni, menzogne e compiacenti mistificazioni. [...]
Ma come discernere l’autentico, perché sentiamo il bisogno di cercare il vero senso del lavoro, dell’arte?
[...] Occorre anzi tutto avere una lucida percezione mentale delle sempre più invasive forme del falso che ci aggrediscono dall’interno e dall’esterno se si vuole attivamente sperare di fronteggiarlo esorcizzandone i fantasmi suscitati dalla comunicazione mediatica interpersonale e intersociale.
Come creare una pratica artistica che non occluda le facoltà intellettive con false rappresentazione del mondo ma le disponga alla visione della vera identità della vita? [...] Il riconoscimento e l’assunzione della mia vocazione umana passa inevitabilmente attraverso angoscianti smarrimenti, tradimenti e imposture, tuttavia è con una pratica di lavoro non precostruita che trovo passo passo, strada facendo, le autentiche forme di vita che mi permettono di accogliere l’abissale sensatezza del mondo e di testimoniarla in obbedienza con tutto il corpo della mia personale esistenza terrena. [...]
L’esperienza personale è fondante però è indicibile.
Di essa non si può parlare.
Il discorso intellettuale si riferisce al cammino seguito dal soggetto fino al momento di entrare nella sua esperienza; è l’indicazione di un percorso che deve farsi, che si è obbligati a fare spinti da un bisogno che si comprenderà più tardi, quando la coscienza inaspettatamente si raccoglie in sé senza alcuna preoccupazione di sé e il pensiero liberato dalla paura e raccolto in uno stato di silenzio produttivo inizia a vedere e comprendere cose nuove affatto percepibili quando è soggiogato dal doloroso contrastante flusso delle ambivalenze dei sentimenti dei pensieri e della volontà animata dallo spirito di appropriazione predatoria e incestuosa.
La difficoltà di esprimere questa singolare esperienza è reale, si tratta di comunicare fatti dei quali è possibile parlare solo se sono stati personalmente sperimentati; per l’autore si tratta di presentare una esperienza inedita la cui prima comparsa l’ha colto di sorpresa. Tuttavia sente il bisogno di comunicarla ma cercare di raccontarla la rende insensata; può essere espressa solo nel linguaggio poetico o con un semplice gesto umano che testimonia condivisone con il Dolore che abita nel cuore di tutte le Cose.
È nella pratica pittorica che mi è particolarmente permesso di accedere alla percezione di questo Io più nascosto non soggiogato dalla paura della morte.
 
Caro Pietro,
ringraziandoti della tua attenzione, nell’attesa di incontrarti per riflettere davanti al mio lavoro in pittura con l’augurio di poter riconoscere insieme il manifestarsi in esso del momento dell’autentico riscatto dal Falso.
 
Ti saluto con antica amicizia,
tuo Bruno


 
Buno Pinto, in Cat. Di fronte e attraverso, Mazzotta, Milano 2005




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