Flaminio Gualdoni, 1990

"E’ nella seconda metà degli anni sessanta che dopo una maturazione lunga ed elaborante, la vicenda artistica di Bruno Pinto giunge a mettere in chiaro i nodi problematici cruciali.
Era stato, prima, un viaggio lucido, vorace, ansioso entro le ragioni stesse del moderno e i capitoli della sua fondazione. Un percorso non modale, però, non d’assunzione di capitoli stilistici, quanto piuttosto un aggirarsi severo su temi e questioni di portata radicale. […] Un interrogarsi continuo sul valore sulla consistenza intellettuale sulla nozione di realtà e finzione; sull‘autocertificazione di senso dell‘immagine e la referenzialità complessa, scorrente fino al simbolico; sulla forza genetica, di energia vitale, della formatività, e lo scrutinio teso, distante, delle motivazioni culturali.
In una parola, è un ‘il faut etre moderne’ ma in assenza dei laccioli ideologici dell’avanguardismo, per complessa e acuminata inattualità, capace di dialogare con frontiere conoscitive - e le conoscitive, s’intende, non le infami astuzie mondane del sistema - e insieme con le grandi evenienze del passato, il Quattrocento come Courbet, in nome d’una selezionata e ogni volta riconsiderata genealogia, e vocazione. […] E’ questa concretezza non prefigurata ma come rinserrata nella risolutezza del processo, assediata da una strategia febbrile non innamorata di se stessa, da una urgenza che non è retorica declaratoria ma ansimante, respirante pressione della forma a farsi spaziosità propria, il paradigma aperto cui Pinto si attiene, nei fogli di misura privata, di ragionamento d’atelier, come in quelli che aspirano a ergersi in un opera compiuta alla pari delle non meno orgogliose, e consanguinee, realizzazioni pittoriche. […]
Coi quadri i fogli le sculture di oggi Pinto è come sé approdasse ad un porto di compiute certezze a proposito della necessità della ragion d’essere del proprio lavoro: e, dunque, cominciasse a sentire scorrere entro i nervi, e le vene delle proprie braccia, e nell’eccitarsi della propria mente, le figure di un nuovo che l’arte ancora contiene, possibile, senza tradire la propria identità, ma alla fine non generato dalla meccanica vieta delle accezioni modali, delle petizioni di principio.
Come un corpo, insomma, che certo del proprio codice genetico e della propria incontrattabile voglia d’esistere, possa prendere una sembianza orgogliosa, autorevole, precisa: un nuovo di sostanza, che Pinto comincia a intravedere, e che forse il suo lavoro sarà in grado di far essere."

 

Flaminio Gualdoni, in Cat. Bruno Pinto. Luoghi Controversi del cuore, a cura di Silvia Evangelisti, con scritti di Bruno Bandini ,Andrea Emiliani, Silvia Evangelisti, Flaminio Gualdoni, Luciano Nanni, Bruno Pinto. Nuova Alfa Editoriale, Bologna, aprile 1990, cit., p. 13

Flaminio Gualdoni, in Cat.  Pinto. a cura di Silvia Evangelisti, con il contributo di Andrea Emiliani, Silvia Evangelisti, Flaminio Gualdoni, Luciano Nanni, Bruno Pinto. Nuova Alfa Editoriale, Bologna, December 1991, cit., p. 11

 




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