"[…] Il vuoto nei quadri, o il silenzio mentale, che accompagna una situazione esistenziale, sono i segni che si è sul buon cammino: si sta entrando nella complessità dell’esperienza, e cominci a svegliarti, a fregarti le mani che ti prudono, ti si altera il ritmo cardiaco, fino a che scorgi l’orma e ti metti a fiutarla come un segugio, le vai dietro con tutta la storia della pittura cercando di trovare il nascosto segreto della sua natura, e cominci ad avere la visione che le cose hanno un senso, un significato preciso; allora, e solo allora, le tue mani afferrano di nuovo i pennelli e la pittura comincia a farsi da sé, i colori e le linee cominciano a parlarsi e a parlarti, quel vuoto di prima trova il suo preciso contenuto e cominci a dipingere con tutta la tua natura, con tutto il corpo della pittura, fino a che sorge il nuovo tracciato tettonico, non confuso anzi ben definito, che ti porta verso l’altro; luogo in cui la geometria genera la sua luce propria, e la luce ne abbaglia le forme; così trovi la via d’incontro con la realtà che muta, ma che è anche cambiata dal tuo 'fare', così come cambi te stesso. […]
Giunge il terribile momento della paura: senti il terror panico, lo senti quando dipingi, nel cuore dell’Io.
E’ una esperienza dell’Io né desiderata, né ricercata.
Semplicemente si presenta come una pressione mortificante il pensiero.
E’ una esperienza che non è controllabile volontariamente.
Paura che genera una sensazione di blocco, che può condurre alla paralisi, quasi una esperienza di morte.
E, benché possa essere rimossa, hai la confusa coscienza che devi rimanere in essa, perché rifiuti l’evasione nel ricordo.
E allora lo spavento si tramuta in silenzio.
[…] Non illuminazione né fruizione naturalistica, bensì luce vivente che fa paura alla gente, che crea in essa una sensazione di spavento; non colpisce solo lo sguardo ma tutto il corpo. E questa si concretizza in percezioni qualitative che, nel momento limite della tua fatica, rappresentano la soglia ultima della esperienza vitale, e questo comunemente si chiama stato di grazia.
Invece l’ osservatore finché rimane vincolato al suo abituale modo di guardare lo conosce solo come mero godimento estetico. Questa modalità è tuttavia destinata ad essere superata tanto nel suo valore di fruizione soggettiva quanto in quello di oggettivo dato fisico accertato. Momento che inizialmente colpisce come inconsapevole messaggio che arriva dal di fuori, e che, per ingenuità o effetto della ricezione primaria, non ci si accorge di codificare: è lo stato del colore come uno 'istintivamente' lo vede, nel senso che lo si vede come si è abituati a guardarlo.
Ma la luce dei tuoi quadri non può veramente manifestarsi nel soggetto sin quando esso non vada al di là della codificazione, sin quando cioè il soggetto non recepisca messaggi diversi da quelli che l’ingenuo crede gli arrivano dall’esterno. [...]"
Sergio Vuskovic Rojo, l'altro lato della pittura, Parol Quaderni d’Arte 3, Bologna marzo 1987
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